martedì 16 ottobre 2012

Decameron, III, 2: Lo stalliere del re Agilulfo

Decameron, III, 2: Lo stalliere del re Agilulfo

La novella che ha per protagonisti Agilulfo e il suo stalliere è la seconda della terza giornata, il cui tema è il potere dell’ingegno: la narratrice è Pampinea.
La novella narra di uno stalliere del re longobardo Agilulfo, che, innamorato della regina Teodolinda e credendosi in qualche modo oggetto di particolari attenzioni, cerca il modo di giacere con costei.
Lo stalliere è umile e di bassa condizione, ma è dotato di grande industria, che gli permettere di soddisfare il suo desiderio e poi di salvarsi da morte certa.
Lo stalliere, infatti, osserva per molte notti il comportamento e la tenuta del re quando si reca nella stanza della regina: il re veste una tunica e porta con sé una verghetta con cui bussa alla porta, e una torcia. Dunque una sera lo stalliere decide di vestirsi come il re e comportandosi esattamente come lui riesce ad accedere alla stanza della regina e a giacere con la donna, del tutto ignara dello scambio. Dopo che lo stalliere è andato via, come ogni sera arriva alla porta della camera il re, e la regina, stupita di vederlo di nuovo alla sua porta, gli chiede il motivo di tanto ardore amoroso. Il re comprende immediatamente che un altro uomo ha approfittato di sua moglie e decide di cercare immediatamente il responsabile di tale oltraggio. Mentre tutti sono immersi nel sonno, cerca e trova con successo la persona che ha giaciuto con sua moglie, auscultando con attenzione la rapidità del battito cardiaco di tutti gli uomini presenti nel palazzo, e fa in modo di poterla riconoscere la mattina seguente tagliandoli i capelli. Ancora una volta lo stalliere, accortosi dello stratagemma del re, dà prova del suo ingegno e taglia a tutti gli altri abitanti del castello i capelli allo stesso modo in cui il re aveva fatto con i suoi. Il mattino seguente il re non può più riconoscere il responsabile del tradimento e decide di lasciar correre per quella volta, ma al tempo stesso di intimare indirettamente al colpevole di non commettere mai più il suo gesto.


Analisi
Secondo il critico letterario Mario Alicata[1] in questa novella assistiamo al superamento del mondo feudale, il quale cede il passo ad una nuova e singolare ideologia, di cui lo stalliere è il “rappresentante”. Egli, infatti, riesce a prevalere sul re Agilulfo, portatore dei valori cortesi, costretto a “togliersi il cappello” dinnanzi all’astuzia del seduttore della moglie. In particolare, sono due i temi che Boccaccio rielabora dalla letteratura cortese precedente: l’amore e l’innamoramento, e la nobiltà d’animo e di sangue.
L’amore e l’innamoramento nella letteratura precedente al Boccaccio erano soprattutto di natura spirituale:  nell’amore confluivano aspetti istintivi e passionali e altri legati all’immaginazione e alla riflessione, come sosteneva Andrea Cappellano nel De Amore: «L’amore è una passione istintiva che nasce dalla vista e dalla sovraeccitazione immaginativa per la bellezza dell’altro sesso».
Di qui l’importanza della vista dell’amato/a, ma anche dell’astrazione fantastica e dell’immaginazione nella relazione amorosa. Nella prospettiva boccacciana, invece, l’amore assume un valore molto più terreno e carnale, che comporta anche un soddisfacimento fisico: ciò accade allo stalliere che non riesce a resistere al desiderio per la moglie del re, pur sapendo di esporsi al rischio della vita.
Lo stalliere per raggiungere il suo scopo si serve di un elemento innovativo nella letteratura, introdotto da Boccaccio, l’ingegno, non più inteso come un elemento potenzialmente peccaminoso, quanto piuttosto come uno strumento che permette di contrastare la cattiva fortuna, ma anche in parte, di controllare la natura.

Entrambi i personaggi principali della vicenda, lo stalliere ed il re, lo possiedono, anche se in modo diverso. L’autore lo evidenzia soprattutto nel primo: lo stalliere, infatti, riesce sia a giacere con la moglie del re per mezzo di un’astuta trovata, sia poi a salvarsi la vita. Il re d’altra parte dimostra di essere dotato di ingegno sia quando decide di non svegliare subito il colpevole sia quando escogita il taglio dei capelli del colpevole per poterlo riconoscere il giorno seguente. Ne consegue il ribaltamento del concetto stesso di nobiltà: se in ambiente cortese la nobiltà d’animo era sempre accompagnata dalla nobiltà di sangue, ora tale associazione viene superata. Infatti lo stalliere, seppure umile e di bassa condizione sociale, dimostra di essere intelligente e di animo elevato: un uomo e un amante alla pari del sovrano stesso.


[1]  M. Alicata, Prefazione alla Terza giornata, in G. Boccaccio, Decameron, Editori Riuniti, Roma 1980, pag. 218-219
Marco Borromini e Davide Lietti

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