martedì 16 ottobre 2012

Decameron, IV, 1: Tancredi e Ghismunda



 Decameron, IV, 1: Tancredi e Ghismunda
Durante la quarta giornata, dedicata alle storie di amori infelici,di cui è re Filostrato,  Fiammetta narra come prima novella la triste storia che ha per protagonisti Tancredi e Ghismunda: essa contiene non solo una storia amorosa intensa ma anche drammatica e crudele, e figure di profonda controversia psicologica, tali da fornire i presupposti per un’analisi di tipo psicoanalitico.
Tancredi, principe di Salerno, viveva nel suo palazzo insieme alla figlia Ghismunda, come lui rimasta vedova. Essendo una giovane donna molto saggia e di bellezza rara, la giovane aveva molti spasimanti, ma il padre non le permetteva di risposarsi. Tra Ghismunda e Guiscardo, giovane nobile d’animo ma purtroppo non di casato, nacque però un tenero ardore e i due innamorati iniziarono a incontrarsi segretamente nella camera della principessa. Un giorno il re, come era solito fare, si recò nella camera della figlia per trascorrere del tempo con lei, ma non trovandola si mise sotto le coperte dove si addormentò. Arrivarono poi Ghismunda e Guiscardo i quali, non accorgendosi della presenza del re, tennero il loro consueto atteggiamento amoroso. Tancredi, al momento, decise di non manifestare la sua presenza, ma il giorno seguente fece arrestare il giovane e andò dalla figlia pretendendo da lei delle spiegazioni: ella difese con forza e coraggio il suo amore, senza mai appellarsi alla benevolenza del padre né chiedendone il perdono.  Tancredi il giorno seguente decise di uccidere Guiscardo e di far recapitare il suo cuore in una coppa a Ghismunda: la donna, straziata dal dolore per la perdita, decise di suicidarsi bevendo il veleno dalla stessa coppa inviatagli dal padre.
La novella racconta una vera e propria tragedia, caratterizzata da personaggi complessi e moderni, nei quali possiamo ritrovare temi cari al Boccaccio, comprendendo quanto profondamente, attraverso di loro,l’autore sia stato in grado di svolgere un’approfondita analisi psicologica.
Ghismunda, donna giovane, bella e arguta, è tragica del racconto: ella ha un carattere passionale, ma anche fermo e razionale. Tale personaggio, durante il suo lungo discorso diretto al padre, affronta alcune tematiche fondamentali per il pensiero boccaciano: Infatti ella ritiene che non si possa disobbedire al desiderio amoroso dettato dalla natura e che dunque non sia da giudicare come peccato l’amore suo e di Guiscardo, essendo questo  un “ natural peccato”, di cui non si pente. Nel suo discorso ella inoltre difende a oltranza l’animo dell’amato:  egli, pur essendo per volere del caso nato umile, era nobile tanto quanto, o forse anche di più, coloro che erano considerati tali per diritto di nascita. Attraverso tali argomentazioni, Ghismunda affronta i concetti di ‘fortuna’ e ‘natura’, ‘nobiltà’ e ‘virtù’, centrali appunto nell’ ideologia di Boccaccio.
Tancredi è un uomo buono che però diventa, all’apparenza in modo incomprensibile, un feroce omicida, responsabile anche del suicidio della sua stessa figlia. Un’interpretazione psicoanalitica, messa a punto dallo studioso Carlo Muscetta [1], definirebbe il sentimento di Tancredi verso la figlia ‘incestuoso’. Fin dall’inizio il testo ci informa che Tancredi e Ghismunda si trovano entrambi vedovi: ma il padre, a differenza della figlia, concentrando tutti i suoi affetti sulla figlia e  reprimendo tutti i suoi impulsi erotici, di cui non è neanche pienamente consapevole, fa della giovane l’oggetto della sua ossessione. Essa esplode quando egli scopre la relazione della giovane e viene colpito da una follia gelosa e crudele, caratterizzata da una debolezza quasi infantile e da una violenza senile. 
L’autore non si concede di rappresentare il superamento da parte di Tancredi della soglia del tabù, ma comunque, attraverso la descrizione dell’abitudine dell’uomo di riposare con la figlia, si dimostra attento a problematiche e patologie amorose che verranno affrontate solo nel ‘900 in ambito psicoanalitico.
In tale racconto l’amore tra i due giovani viene presentato nella sua completezza, e non come semplice impulso sessuale e fisico, come si può ricavare dall’unica e sentimentale frase pronunciata da Guiscardo “ l’ amore può più che né io né voi possiamo”.


[1] Da C. Muscetta,,Giovanni Boccaccia e i novellieri, in AA.,VV., il trecento, in Storia della letteratura italiana,, diretta da E. Cecchi e N. Sapengo , Garzanti, Milano 1987. pp 420-421

 Gioia Fertonani

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