martedì 16 ottobre 2012

Decameron, IX, 2: La novella della badessa e delle brache

Decameron, IX, 2: La novella della badessa e delle brache

Nella seconda novella della nona giornata del Decameron, ossia quella nota come “la novella della badessa e delle brache”, Boccaccio narra le vicende delle  monache di un convento lombardo che si trovano a fare i conti con illecite passioni amorose.
La bella e giovane monaca Isabetta, innamoratasi di un giovane che le aveva fatto visita al convento, escogita con lui un modo perché si possano incontrare e vivere, anche se segretamente, il loro amore. Una notte accade, però, che le altre monache scoprano gli incontri dei due e decidano di organizzarsi affinché la badessa li colga sul fatto e punisca Isabetta. La prima notte in cui i due giovani si incontrano, esse vanno a chiamare la badessa Usimbalda che però, a sua volta, sta incontrandosi segretamente con il suo amante, un prete.
La badessa, messa al corrente di quanto accaduto, si riveste in fretta al buio, indossando così le brache del prete al posto del saltero e fa poi irruzione nella cella di Isabetta. La giovane è condotta alla presenza di tutte le monache e viene aspramente rimproverata dalla badessa che ancora non si è resa conto, come del resto le altre monache, di cosa porti sulla testa. L’insolita cuffia viene però notata da Isabetta, che con una battuta arguta, “Madonna, io vi priego che voi v’annodiate la cuffia; poi dite a me ciò che vi piace”, riesce a far notare alla badessa, e quindi anche alle altre donne, l’imbarazzante situazione in cui si trova. La badessa, consapevole di essersi macchiata della stessa colpa che rimprovera alla giovane, non tenta più di negare, ma, anzi, invita tutte le altre monache a rispettare e a soddisfare i propri impulsi naturali.

I temi cardine di questa novella sono due: la polemica contro l’ipocrisia dominante nella vita religiosa e la rivendicazione dei diritti della natura. Attraverso essi Boccaccio sviluppa la sua personale visione della morale e della vita: egli non è sconvolto né scandalizzato dagli amori illeciti delle suore, mentre ridicolizza chi, come la badessa Usimbalda, finge di ignorare che gli impulsi sessuali appartengono a tutti gli esseri umani. Tale prospettiva può essere considerata un passo avanti verso quella che si può definire come una vera e propria rivoluzione rispetto ai valori medievali. Se, infatti, Dante aveva condannato Paolo e Francesca alle pene dell’Inferno a causa della loro passione, Boccaccio, invece, non biasima né demonizza il comportamento tenuto dalle monache, cercando piuttosto un punto di equilibrio tra le regole della morale e gli effettivi comportamenti umani.
Anche Giuseppe Petronio[1], ritico letterario italiano, ha analizzato questa novella del Decameron prendendo in considerazione la morale boccacciana e l’intento comico dell’autore stesso.
Egli dimostra che il Boccaccio, proprio perché non condizionato dagli ideali medievali e dai comuni pregiudizi, riesce nell’intento di caricare comicamente alcuni personaggi, in particolare quello della badessa, godendosi egli stesso i ridicoli momenti che caratterizzano il racconto.
In conclusione possiamo quindi affermare che Boccaccio attraverso questa novella celebra con scioltezza la gioia di godersi la vita anche nelle situazioni più assurde e paradossali, superando così le barriere imposte dal pregiudizio e dal pensiero comune del Medioevo.


[1] Da G. Boccaccia, Decameron, a cura di G. Petronio, Editori Riuniti, Roma 1980, pp. 738-739.

Beatrice Ballabio e Selene Fassina
   
                 

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